Ho sempre trovato conforto nelle pietre. Fin da bambina ne ero attratta. Le selezionavo, davo loro dei nomi e delle voci, diventavano amici con delle proprie personalità, diverse e sfaccettate. Quando si è bambini la magia della natura non è da ricercare, si palesa intorno e dentro di te.
Con il tempo ho imparato a riconoscere le pietre in base a delle categorie prefissate da qualcun’altro. C’è l’ossidiana, l’occhio di tigre, il quarzo rosa e la fluorite, la cianite e la rodocrosite; l’ametista e la pietra di luna, la corniola e il diaspro, il turchese e la crisocolla. C’è un nome per ogni tipologia di pietra eppure per me avevano un carattere non solo a seconda della tipologia, ma proprio perchè ogni singola pietra era unica seppur simile alle altre.
Mi trovavo in Bulgaria a visitare i sette laghi di Rila. Un posto magico e meraviglioso sulle pendici di una catena montuosa. Questi laghi si dislocano a diversi livelli l’uno dall’altro e, a mano a mano che si sale, se ne ammirano le varie forme. Ci sono i primi due laghi: lago piccolo e lago grande. Salendo si incontrano i laghi Gemelli, poi il Rene, l’Occhio e infine la Lacrima. Anche qui qualcuno si è preso la libertà di dargli un nome in base alla forma e al carattere.
Avevo messo delle scarpe da trekking nuove, inutile precisare che già nei primi 100 metri di salita si era creata quella solita vescica pungente dietro al piede. Mi sarò fermata 10 volte, forse 15 per sistemarmi il fazzoletto che mi ero messa per soffrire il meno possibile. Il sentiero era disseminato da pietre accuminate e tutti i turisti intorno a me erano super attrezzati con racchette e ramponi. Era Agosto, l’aria era fredda e pulita, era una stupenda giornata di sole e intorno a me si dispiegavano chilometri di rocce ed erbetta eppure non riuscivo a rilassarmi. Quella vescica sovrastava tutto lo splendore intorno.
Riesco a salire fino all’ultimo lago: la Lacrima; è così che mi sentivo. Il paesaggio era da perdere il fiato, si vedevano tutti e sette i laghi da lì sù e ancora oltre tutte le montagne e i rilievi bulgari fino a che non si nascondevano da una leggera foschia all’orizzonte.
Mi fermo in contemplazione. Stupida vescica. Stupida me.
Poi un bambino, avrà avuto 4 anni, con la testa spruzzata di giallo paglierino, a torso nudo, correva su per la montagna a piedi nudi, felice e leggiadro. Magnifico. Un bambino che mi insegna a vivere. Mi tolgo le scarpe ed inizio ad assestare i primi passi. È stupendo. Quelle pietre accuminate non le sentivo nemmeno, i miei piedi conoscevano dove appoggiare il peso del corpo senza farsi male.
Che meraviglia la magia della natura! Non volevo più andarmene da quella montagna.
Mentre saltellavo allegra e spensierata eccola lì, una pietra verde, diversa da tutte le altre che mi guarda. Cerco intorno per trovarne di sue simili, ma nulla. Lei è lì che mi sta aspettando da sola, diversa, sbrilluccicante con i raggi del sole. Decido che è la pietra di quel viaggio. Quel viaggio diverso e speciale che è stata la Bulgaria.
Torno a casa, passano mesi, e ritrovo la stessa pietra su un sitoweb. Qualcuno l’ha chiamata Actinolite e l’ha catalogata.